Una delle difficoltà maggiori per un italiano che studia l’inglese è sicuramente la pronuncia. Ciò che è scritto non è ciò che si legge ed è una difficoltà, perché la nostra abitudine è che se una parola ci viene detta a voce, siamo immediatamente in grado di memorizzarla e scriverla. Evidentemente non può succedere con l’inglese. Ebbene, nonostante mi sia stato ripetuto millanta volte a scuola che le parole inglesi si pronuncino con dei fonemi, non me ne sono mai preoccupato e fino a trent’anni sono rimasto della convinzione che esistesse una regola artistica che data una parola me ne desse la pronuncia, e che ero io a non capirla bene. Niente di più sbagliato. Un po’ come le parole in italiano, anche le parole inglesi si leggono esattamente come si scrivono… coi fonemi.
Personalmente mi ha colpito leggere come il mio inglese suonasse alle orecchie di un ascoltatore che trascrive ciò che sentiva coi fonemi. Scripta manent, verba volant. Come se una voragine si fosse aperta e mi avesse risucchiato, per richiudersi sopra di me. La quantità di imprecisioni che commettevo era davvero altissima. Ebbene shish. Da allora, controllo ogni volta che posso la pronuncia fonetica delle parole. Facendolo, me le ricordo meglio e non devo improvvisarne la pronuncia. Davvero, meno sforzo e miglior risultato.
I fonemi sono 44 (più che in italiano, dove sono 30), e la loro scrittura si trova nei dizionari accanto alla parola, vedi qui. I fonemi hanno dei simboli propri per essere scritti. Ad esempio, English si pronuncia /ˈɪŋɡlɪʃ/. Non è questo il blog in cui verranno impartite lezioni d’inglese e inoltre alcuni fonemi sono ovvi per un italiano, mentre solo pochi altri sono specializzati per l’inglese. Fra i fonemi più importanti che non abbiamo in italiano, spuntano fuori:
– La schwa ə, che sostituisce almeno la metà delle vocali inglesi e che ha una pronuncia indefinita e senza accento. Ok, questo è importante.
– La a corta æ. Come in “apple” o “cat”. (Notare la differenza con la a piena, come per duck). Mentre in inglese viene spiegata essere una a corta, sospetto che in italiano non ne abbiamo un vero esempio, essendo le nostre a abbastanza aperte. A me ricorda più un misto fra a ed e, come in latino.
– Il th θ. Come in “healthy”. Qua niente, è una t in cui bisogna mettere la lingua dietro gli incisivi superiori.
– Il th duro ð. Come in “mother”. Come da precedente, ma con la d.
– La ŋ che ha una g sfuggente. Come in “sing”. La parte dietro del palato rimane attaccata durante la pronuncia.
– E infine non dimentichiamo la h ben pronunciata aspirata e la r un po’ moscia 🙂
Ma come fanno gli stessi inglesi? Non hanno le nostre difficoltà? Vado a intuito. Sicuramente devono prima ascoltare una pronuncia di una parola per conoscerla. Secondariamente, avendo già un ampio vocabolario, possono più facilmente fare confronti e andare “a senso”. Ma anche loro hanno tanti dialetti e province dell’Inghilterra dove le pronunce sono diversissime! Questo è anche uno dei motivi principali per cui probabilmente non si accorgono quando il nostro inglese suona male, ma pensano piuttosto a quanto sia brutto il nostro accento. In ogni caso, la pronuncia viene da loro ricevuta esattamente come noi pensiamo alle parole che ascoltiamo, è univoca. L’unica differenza è che non possono associarla alla parola scritta, che devono conoscere indipendentemente o ricavarla grazie alla loro esperienza.
La domanda che mi pongo è, se l’inglese si legge come si scrive foneticamente, l’italiano non potrebbe accogliere gli anglicismi così come si pronunciano, tralasciando la scrittura in madre lingua? Qualcuno potrebbe obiettare che facendo così si disimparerebbe la scrittura delle parole inglesi, ma forse quel qualcuno non sa che è un problema anche per gli inglesi (e le loro gare di speliŋ). Un’altra obiezione potrebbe essere che sono troppi i 44 fonemi, ma questo è facile, basta tenere quelli difficili e aggiustare il resto come in italiano, sicché…
Uelcəm tu mai blog!