L’incredibile storia del complotto contro George Soros

Traduzione dell’articolo: https://www.buzzfeednews.com/article/hnsgrassegger/george-soros-conspiracy-finkelstein-birnbaum-orban-netanyahu

— di Hannes Grassegger

L’edificio di cristallo che ospita l’ufficio di George Soros a Manhattan è inondato con numeri sugli schermi, che seguono e predicono le direzioni dei mercati attorno al mondo. Ma uno in particolare è difficile da interpretare — un semplice grafico arancione che analizza i sentimenti sui social media.

I dati, aggiornati quotidianamente dal 2017, proiettano le reazioni provocate su Internet dal nome George Soros. Ci sono decine di migliaia menzioni a settimana — quasi sempre negative, alcune ovviamente guidate da reti di bot. Soros è pura malvagità. Contrabbanda droga. Speculatore. Estremista. Cospirazionista. Nazista. Ebreo. È un’ostentazione di odio allo stato puro.

La demonizzazione di Soros è una delle caratteristiche principali della politica globale contemporanea, ed è, con un paio di eccezioni, fatta di bugie. Soros è davvero ebreo. È stato davvero un aggressivo trader di valute. Ha sostenuto i democratici negli Stati Uniti e ha sostenuto la nozione di Karl Popper della “società aperta” in quello che era chiamato il blocco comunista. Ma le molteplici incontrollate teorie che prolificano, e che includono il suo aiuto all’abolizione dell’Unione Sovietica per aprire la strada in Europa per africani e arabi, sono veramente matte e ridicole — se non fossero così virulente.

Soros e i suoi collaboratori hanno speso molte, lunghe, ore chiedendosi: ma da dove viene tutto questo?

Solo un gruppo di persone conosce al risposta.

Durante una bella mattina della scorsa estate, una di queste persone si trovava a un enorme buffet del Westin Grand Hotel a Berlino. George Birnbaum ha il fisico di un maratoneta — alto e slanciato, la sua testa e il volto rasati di fresco. Eleganti occhiali con la montatura di corno a fare da cornice ai suoi penetranti occhi azzurri.

Birnbaum — un consulente politico che ha lavorato negli Stati Uniti, Israele, Ungheria, e nei Balcani — ha acconsentito per la prima volta a parlare del suo ruolo nella creazione dell’Uomo Nero Soros, e che ha finito per creare un’ondata globale di attacchi antisemiti contro l’investitore bilionario. Ma ha voluto anche difendere il suo lavoro, e quello del suo mentore e amico, Arthur Finkelstein.

George Eli Birnbaum è nato nel 1970 a Los Angeles, dove la sua famiglia si è trasferita dopo essere fuggita dalla Germania nazista. Suo nonno fu ucciso dai nazisti di fronte a suo figlio, il padre di Birnbaum, che in seguito sopravvisse ad Auschwitz. L’antisemitismo seguì la famiglia mentre si trasferivano ad Atlanta, dove Birnbaum è cresciuto, e dove la scuola ebraica che ha seguito fu spesso sfregiata con ingiurie antisemite. Lasciò un bel segno.

In un’era in cui molto ebrei americani persero la loro identità, a Birnbaum non era consentito dimenticarsela. Ogni fine settimana suo padre gli dava da leggere il Jerusalem Post.

“Prima leggi cosa succede agli ebrei nel mondo, poi ti puoi preoccupare del resto del mondo.” Birnbaum rammentò le parole del padre. Crebbe credendo che solo una nazione forte, lo stato di Israele, potesse proteggere gli ebrei da un secondo olocausto.

Tutto questo rende molto bizzarro che le idee di Birnbaum e Finkelstein abbiano generato una nuova ondata di antisemitismo, e che lo facessero al servizio di un leader autoritario, il primo ministro ungherese Viktor Orbán, globalmente vituperato per le sue idee di estrema destra. I due raccolsero tutte le discussioni contro Soros, da Est a Ovest, da sinistra a destra, e le hanno fuse assieme. I due ebrei americani, uno dei due molto importante nella politica degli Stati Uniti, collaborarono a creare un mostro.

Birnbaum non apprezza l’ironia, ma non c’è il minimo dubbio che lui abbia giocato un ruolo fondamentale a strumentalizzare l’antisemitismo.

Mettendo Soros sulla gogna.

Dall’inizio del 2008, Birnbaum e Finkelstein lavorarono in segreto per far eleggere Orbán. La loro vittoria in Ungheria — lontana dallo scrutinio politico intenso dell’Europa occidentale — ha mostrato che la creazione di un nemico esterno potesse portare il successo elettorale nell’era moderna. Ha acconsentito all’Ungheria la nascita di un “Trump prima di Trump”, come ha detto Steve Bannon.

Il lavoro di Birnbaum e di Finkelstein ha creato un modello di attacco politico nell’era della divisione a livello globale. Hanno progettato un piano generale per sfruttare queste divisioni che ha funzionato in molte nazioni e contesti diversi, e ha contribuito a creare il nemico ebreo che l’estrema destra ha sfruttato con effetti devastanti. Nel 2016, quanto Trump lanciò il suo ultimo spot prima delle elezioni, non fu sorprendente che Soros fosse descritto come un membro di coloro con “interessi globali speciali” che “non pensa al tuo bene”.

Per capire Birnbaum bisogna guardarsi indietro, dalla brutale politica di Israele degli anni ’90 a Washington DC degli anni ’70, dove nuovi professionisti conosciuti come consulenti politici stavano sviluppando un nuovo insieme di strumenti per portare le persone al potere. Lì si può trovare il padre spirituale di Birnbaum, Finkelstein.

A partire dalla fine degli anni ’60, Finkelstein era uno dei pochi uomini che reinventarono l’industria della consulenza politica a New York. Aiutò presidenti e senatori sperimentando uno stile di tagliente pubblicità televisiva, e costituitì una generazione di protetti.

Finkelstein non è famoso come il suo contemporaneo Roger Ailes, ma è comunque un legame nascosto che si lega fino all’odierno partito repubblicano, guidato dall’icona libertaria di Ayn Rand al cinismo di Richard Nyxon e infine a Trump. Finkelstein era un ragazzino di New York City. Figlio di un tassista, incontrò Rand mentre ancora era studente alla Columbia University nei primi anni ’60. Continuò a lavorare brevemente come programmatore a Wall Street prima di diventare uno dei primi esponenti dell’arte dell’elezioni alla fine del decennio.

Fu allora che Finkelstein iniziò a sviluppare un metodo politico che ora sembra una guida all’uso per il moderno populismo di destra. La premessa di Finkelstein era semplice: ogni elezione è decisa prima ancora che incominci. La maggior parte delle persone sanno cosa voteranno, cosa supportano, e a cosa si oppongono. E Finkelstein era credeva che sarebbe stato molto difficile convincerli altrimenti. Perché è molto più facile demoralizzare le persone piuttosto che motivarle. E il miglior modo per vincere è demoralizzare i sostenitori dei tuoi avversari. Questo Trump lo ha fatto con grandi risultati contro Hillary Clinton, e intendeva questo quando, nel dopo elezioni, ha ringraziato i neri d’America per non aver votato.

Finkelstein aveva studiato a lungo le grandi tendenze politiche, e scelse le questioni più semplici ma che provocassero più danni. Alla fin fine, notò, si finisce sempre sulle solite preoccupazioni: droga, crimini, e razza. Queste sono le questioni che creano una divisione più forte, scrisse in un memo a Nixon alla Casa Bianca nel 1970.

L’obiettivo di Finkelstein era di polarizzare l’elettorato il più possibile, aizzando un lato contro l’altro. Il carburante: la paura. “Il pericolo deve essere presentato come se provenisse da Sinistra”, un Finkelstein venticinquenne consigliò Nixon.

Chiunque non attacchi per primo sarà sconfitto, avvertì. E Finkelstein metteva le cose sul personale. Ogni campagna ha bisogno di un nemico da sconfiggere. Sviluppò la campagna inversa che usava una tecnica che chiamava “voto di rifiuto” — demonizzare il nemico a tal punto che anche l’elettore più pigro sarebbe uscito per votare, e rifiutarlo.

Finkelstein consigliava ai clienti di non parlare di sé stessi, ma invece di focalizzare le campagne sul distruggere gli avversari. Divenne famoso per aver trasformato “liberale” in una parola sconcia. In campagne TV che negli anni ’90 nessun americano poteva evitare, gli avversari erano classificati come “ultra liberali”, “liberali matti”, “vergognosamente liberali” or “troppo liberarli per troppo a lungo”. Gli attivisti chiamarono la sua ideologia il “Finkel-Pensiero”. Era semplice ma efficace. Gli amici di Finkelstein hanno spesso affermato che nessuno riuscì a far eleggere più politici di lui.

Occasionalmente si creavano controversie attorno al suo lavoro. Negli anni ’80, mentre lavorava per un candidato repubblicano, fu criticato per aver chiesto agli elettori cose pensavano dell’identità ebraica del suo avversario dei democratici.

Al momento della sua morte nel 2017, Finkelstein ha lasciato un marchio indelebile nelle politiche nazionali, avendo lavorato per Barry Goldwater, Richard Nixon, e Ronald Reagan. Mentre lavorava come un membro centrale della campagna per Reagan nel 1980, compariva una pubblicità stranamente tetra “Rendiamo l’America di nuovo grande”.

Fu visto fare dei lavori per la Trump Organization a metà degli anni 2000 — e in seguito parlò di quanto del potere sconvolgente della personalità di Trump. Quando finalmente Trump si candidò come presidente, la sua campagna era piena di “ragazzi di Arthur” e amici: Larry Weitzner, Tony Fabrizio, e il suo vecchio amico Roger Stone.

Birnbaum era uno dei ragazzi di Arthur. Dopo la laurea presso la Florida Tech nei primi anni ’90, entrò nell’orbita di Finkelstein in DC quando questi stava lavorando al comitato Senatoriale repubblicano nazionale (NRSC). Il lavoro di Birnbaum era di portare a Finkelstein gli ultimi sondaggi ogni mattina. Ogni cosa che Finkelstein faceva era basata sull’analisi di questi sondaggi, Birnbaum rammenta, aggiungendo che nessuno poteva vedere degli andamenti come li vedeva lui.

Birnbaum fu esterrefatto dal cervello di Finkelstein e le sue intuizioni. Ma scoprì anche un altro aspetto di Arthur.

Per il mondo esterno, Finkelstein era un enigma, lo stratega che lavorava per la destra. Ma in privato era amichevole, divertente, brillante, ma anche un uomo modesto, pieno di aneddoti dei circoli di potere più esclusivi. Cresciuto da una famiglia ebrea nei Queens, scherzava sulle regole kosher. Era un nerd con la taschina della camicia piena di penne e appunti.

Nel compassato mondo della politica, Finkelstein teneva la cravatta allentata e spesso lo si poteva vedere camminare in ufficio solo coi calzini. Lo poteva fare perché era guardato come la parte destra del cervello della destra. Una volta Finkelstein disse a un amico che il capo dello staff di Reagan lo ringraziò per “aver tenuto le scarpe per la maggior parte del tempo” mentre era nell’ufficio ovale. La passione di Finkelstein erano le elezioni. La politica gli ricordava, spiegò a degli studenti a Praga, di “onde sul mare che sembrano tutte uguali, ma che col trascorrere del tempo sono sempre diverse”. Il suo amore, comunque, era per le sue due figlie — e per un uomo. Finkelstein, che aiutò dei repubblicani omofobi ad essere eletti, era gay. Sposò quello che era il suo compagno da più di 40 anni nel 2004, e sono stati assieme fino alla morte di Finkelstein.

L’anno successivo all’incontro di Birnbaum con Finkelstein, lo incrociò di nuovo in una sala del NRSC. Gli disse che voleva lavorare per lui, fare sondaggi per lui. E che sapeva anche parlare ebraico, se per caso avesse avuto un progetto in Israele.

L’assassino del primo ministro israeliano, Yitzhak Rabin, il 4 novembre del 1995, fu una svolta per la nazione — e per Finkelstein e Birnbaum.

Quando le elezioni per il suo successore furono preparate in fretta e furia, un nuovo arrivato ufficializzò la sua candidatura. Benjamin Netanyahu, un ex-consulente aziendale di destra, era già dato per sconfitto. Correva contro Shimon Peres, una figura leggendaria, un social-democratico della generazione fondatrice di Israele che voleva continuare il processo di pace di Rabin, che la maggior parte delle persone sperava avesse successo.

Gli israeliani inizialmente sogghignavano alle ambizioni di Netanyahu, e i sondaggi lo davano a 20 punti percentuali di distanza. Ma apparentemente dal nulla, il partito Likud di Netanyahu cominciò a tappezzare il paese con pubblicità minacciose. “Peres dividerà Gerusalemme” era lo slogan, anche se Peres non aveva assolutamente quell’intenzione. Attacchi simili contro Peres comparivano in TV, alla radio, e nella stampa.

Nel dibattito televisivo finale, Peres cascò nella trappola tesa da Finkelstein. La prima cosa che disse era di chiarire che non aveva nessun desiderio a dividere Gerusalemme — esattamente l’argomento ce Finkelstein voleva che lui sollevasse. Netanyahu fece propria la discussione.

Il giorno delle elezioni, la gara fra Peres e Netanyahu era veramente serrata. Circa alle 22 le TV riportavano una vittoria risicata per Peres, basata sulle ultime proiezioni. Secondo una biografia di Netanyahu, prese il telefono e chiamò “Arthur” — il suo gestore della campagna segreto. Finkelstein era a New York, ma rispose immediatamente e disse a Netanyahu di non preoccuparsi. “Vinco sempre le sfide combattute”.

Al conteggio finale, Netanyahu diventò primo ministro: 50.49% a 49.51%.

La vittoria di Netanyahu fece di Finkelstein una star. Per il quotidiano Haaretz “ha trasformato il modo di fare campagna elettorale per sempre”. Ha imparato che la sua formula può funzionare al di fuori del nord America. La competenza di Finkelstein divenne molto richiesta in seguito.

Nel 1998 Birnbaum ricevette una chiamata. Era Finkelstein, chiedendogli se voleva lavorare per il partito Likud in Israele, un sogno divenuto realtà per Birnbaum. Fu lì che i due divennero una squadra, con Finkelstein come capitano e Birnbaum primo ufficiale. Mentre Finkelstein viaggiava fra New York e Israele, Birnbaum teneva d’occhio Israele, dove divenne il capo dello staff di Netanyahu, organizzando apparizioni, rappresentandolo presso la stampa, e a volte facendo da baby-sitter per i suoi bambini.

Il trionfo in Israele segnò l’inizio di una nuova era. Fu allora che Finkelstein si rivolse all’Europa, e a una collaborazione ancora più stretta con Birnbaum. Dal 2003 in avanti, i due uomini lavorarono assieme come consulenti politici, applicando la formula di Finkelstein all’Europa orientale e ai Balcani, iniziano con vittorie elettorali in Romania e Bulgaria.

Ma il capolavoro di Finkelstein e Birnbaum fu in Ungheria, e avrebbe avuto ripercussioni in tutto il mondo.

Iniziò nel 2008, quando Orbán decise di cercare la rielezione. Il suo vecchio amico Bibi — come Netanyahu è conosciuto — lo introdusse alle due persone che lo avrebbero guidato al successo. Poco dopo, Finkelstein e Birnbaum stavano applicando la loro formula alla campagna elettorale di Orbán — ma aggiungendoci il turbo.

Era facile trovare nemici in Ungheria. La nazione era in una situazione economica disperata e dovette essere salvata nel 2008. Le misure di austerità furono richieste dai creditori della banca mondiale, l’EU, e dal FMI. Finkelstein disse a Orbán di prendersela con “i burocrati” e il “capitale estero”.

Orbán vinse le elezioni del 2010 con due terzi della maggioranza del paese spostati a destra. Birnbaum è ancora oggi stupito di quanto fosse stato facile: “Spazzammo via il partito socialista dal tavolo prima ancora delle elezioni”.

Birnbaum e Finkelstein, ora parte delle cerchia di Orbán, si ritrovarono con un problema. Mentre il vincitore delle elezioni riscriveva soddisfatto la costituzione, avevano ora la mancanza di un avversario. “Non c’era un vero nemico politico… non c’era nessuno da combattere”, Birnbaum ricorda. Il partito Jobbik di estrema destra e il partito socialista erano stati sconfitti, ciò che rimaneva frammentato. “Chi era in carica aveva una maggioranza storica, qualcosa che non era mai successo in Ungheria prima”. Per mantenerlo avevano bisogno di “alti livelli di energia”, disse Birnbaum. “Hai bisogno di tenere la base energizzata, devi assicurarti che il giorno delle elezioni abbiano un motivo per uscire e votare”, disse. Avevano bisogno di qualcosa di potente, come il “Costruisci il muro!” di Trump.

“Aiuta sempre a radunare le truppe e il popolo” quando il nemico ha un volto, spiegò Birnbaum. “Arthur ha sempre detto che non si combattono i nazisti, ma Adolf Hitler. Non al-Qaeda, ma Osama bin Laden”. Chi poteva essere questo nemico in Ungheria ora che Orbán era al potere — e voleva rimanerci?

Orbán era impegnato a creare una nuova, drammatica storia della nazione. L’Ungheria, che aveva collaborato coi nazisti, era descritta come una vittima, circondata da nemici esterni, sotto assedio costante, prima dagli ottomani, poi i nazisti, e in seguito dai comunisti. La missione dell’Ungheria era chiara: difendersi dai nemici, e preservare la cristianità contro l’invasione islamica e le forza secolari.

Su questo sfondo, Finkelstein ebbe un’illuminazione. E se il velo della cospirazione potesse essere sollevato e una misteriosa figura rivelata mentre controlla tutto? Il burattinaio. Qualcuno che non solo controllava “grossi capitali” ma li incarnasse. Una persona vera. Un ungherese. Estraneo, ma familiare.

Quella persona era Soros, Finkelstein disse a Birnbaum.

Birnbaum rimase incantato: Soros era il nemico perfetto.

All’inizio non aveva alcun senso. Perché propagandare contro una figura non politica? Anche se nato in Ungheria, Soros non vi viveva da anni. Era un anziano, conosciuto in tutto il paese come un patrono della società civile. Aveva supportato l’opposizione ai comunisti prima della caduta della cortina di ferro, e finanziato i pasti delle scuole per i bambini in seguito. A Budapest, aveva costruito una delle migliori università dell’Est Europa.

Orbán aveva anche ricevuto soldi da Soros: durante il suo periodo all’opposizione, la sua piccola fondazione Századvég aveva pubblicato articoli critici, creati su una fotocopiatrice pagata da Soros. Orbán fu anche uno dei più di 15000 studenti a ricevere una borsa di studio dalla Open Society Foundation di Soros. Grazie a Soros, Orbán aveva studiato Filosofia a Oxford. I due si erano incontrati solo una volta: quando Soros venne in Ungheria nel 2010 dopo una fuga di sostanze tossiche per donare un milione di dollari come fondo di emergenza.

Non sembrava esserci motivo di rivolgersi contro di lui in Ungheria.

Ma Finkelstein e Birnbaum scorsero qualcosa in Soros che lo rendeva il nemico perfetto. C’è una lunga storia di critica nei confronti di Soros, che viene dal 1992, quando Soros guadagnò un miliardo nell’arco di una notte scommettendo contro la sterlina inglese. Per molti della sinistra, Soros era un avvoltoio. Ma Soros usava la sua importanza per spingere idee liberali. Supportava qualunque cosa la destra combattesse: la protezione del clima, l’uguaglianza, i Clinton. Si oppose alla seconda guerra in Iraq del 2003, addirittura confrontando George W. Bush ai nazisti, e divenne uno dei principali donatori dei democratici. Presto divenne odiato dai repubblicani.

Ma c’era di più. Finkelstein e Birnbaum avevano espanso il loro lavoro esattamente nei paesi dove la Open Society Foundation stava cercando di formare delle élite locali liberali e dei movimenti sui diritti civili: Ucraina, Romania, la Repubblica Ceca, Macedonia, Albania. Birnbaum credeva che Soros significava “un socialismo sbagliato per queste zone”. Secondo Birnbaum, Finkelstein era più pratico sulla sua scelta, che vedeva come un semplice mezzo per un fine: “Niente di personale”.

Non ci volle molto per i due consulenti per convincere Orbán a prendersela con Soros — il primo ministro ungherese ebbe “un’enorme fiducia nell’intelletto di Arthur”, disse Birnbaum. La campagna anti-Soros fu utile per Orbán — e non solo all’interno. All’esterno avrebbe fatto piacere ai vicini russi. Putin temeva le cosiddette rivoluzioni colorate come in Ucraina, e la primavera araba, e aveva già iniziato ad attaccare Soros e il uso supporto a cause liberali.

Il lavoro di quella coppia per Orbán è ora parte della leggenda politica ungherese, Finkelstein è quasi una figura mitologica, anche perché Orbán lo ha menzionato solo di sfuggita in pubblico. Il suo portavoce non ha risposto alla richiesta di commentare riguardo a Finkelstein e Birnbaum.

Birnbaum è stato similmente reticente a fornire i dettagli esatti del lavoro che hanno fatto per Orbán. Non ha voluto discutere se avessero creato slogan o semplici concetti, e neanche quanto controllo avessero sulla campagna elettorale in sé.

La campagna contro Soros iniziò probabilmente il 14 agosto 2031, circa nove mesi prima delle elezioni successive. Iniziò in sordina, con un articolo del quotidiano pro-governativo Heti Válasz attaccando le ONG che diceva essere controllate da Soros.

Quindi, il governo ungherese perseguì le Ökotárs, presunte controllate da Soros, che ricevevano fondi norvegesi e svizzeri. La polizia irruppe negli uffici e confiscò i computer, mentre il governo apriva un’indagine sulle loro attività. Gli investigatori ungheresi comunque finirono senza nulla in mano — ma non prima di riuscire a diffondere l’immagine di una rete sospetta di ONG straniere guidata da Soros.

Orbán e il suo team non si fermarono qui. Nel 2015, la crisi europea dei rifugiati, in parte stimolata dalla guerra in Siria, incoraggiò i nazionalisti di tutto il continente. Quindi quando Soros disse che l’EU doveva sviluppare “un piano comune” per accogliere i rifugiati, e prepararsi per un milione di richiedenti asilo all’anno, divenne ancora il bersaglio perfetto per il team di Orbán. Il 30 ottobre 2015, Orbán fece un discorso in cui dichiarava che Soros voleva indebolire il paese e inondarlo di rifugiati.

Altri attacchi si aggiunsero in rapida successione. Qualunque organizzazione che avesse ricevuto denaro della Open Society Foundation era dipinta come “controllata da Soros”. Impiegati delle ONG erano descritti dalla stampa governativa come “mercenari”, finanziati da poteri stranieri. Tutto venne fatto attraverso una serie di articoli sensazionalistici e risposte ufficiali dei membri del governo.

L’apice fu raggiunto il luglio 2017, quando l’intera nazione era tappezzata con pubblicità che mostravano il volto di Soros e lo slogan “Non lasciamo che George Soros abbia l’ultima risata!”

Lo slogan “Stop Soros” era ripetuto ininterrottamente, ovunque. Fotomontaggi lo mostravano camminare mano nella mano con alleati attraverso una rete: la rete che Orbán ha costruito per fermare i rifugiati dall’ingresso in Ungheria. Orbán disse che Soros gestiva una rete mafiosa.

Nell’autunno del 2017 l’amministrazione condusse un “consulto nazionale”. Milioni di cittadini ricevettero questionari, in cui potevano scegliere se supportare o meno il “piano di Soros” per consentire a milioni di persone dall’Africa e dal Medio Oriente di entrare in Europa ogni anno.

Funzionò. Una parte enorme della nazione si rivolse contro Soros. Orbán vinse nel 2014 e nel 2018, entrambe le volte con una maggioranza schiacciante.

Soros era in trappola. “Il nemico perfetto è uno che puoi prendere a pugni senza che possa rispondere”, disse Birnbaum. Se Soros avesse reagito, sarebbe finito nelle loro braccia, confermando che aveva potere e influenza, disse Birnbaum. Soros e la Open Society Foundations avevano provato a rispondere ad accuse e attacchi, e avevano anche fatto causa al governo ungherese presso la corte Europea dei diritti umani, ma non potevano entrare nell’arena politica. Sarebbe stato inimmaginabile che a 87 anni Soros competesse contro Orbán. “Mr Soros non è un politico”, disse il suo assistente Michael Vachon.

Nonostante tutto quello che seguì, Birnbaum è orgoglioso della campagna contro Soros: “Soros era il nemico perfetto. Era ovvio. Era il prodotto più semplice fra tutti, dovevamo solo impacchettarlo e venderlo”.

Il prodotto era così buono che si vendette da solo e divenne globale. Nel 2017, gli italiani cominciarono a parlare riguardo a sbarchi di immigrati finanziati da Soros. Negli US, qualche persone sospettò che Soros fosse dietro ai caravan di migranti che entravano dall’America Centrale. Un membro polacco del parlamento chiamò Soros “la persona più pericolosa al mondo”. Putin si riferì con disprezzo a Soros durante una conferenza stampa con Trump a Helsinki. Trump addirittura affermò che le dimostrazioni contro il candidato alla corte suprema Brett Kavanaugh erano sponsorizzate da Soros.

Oggi il lavoro di Finkelstein e Birnbaum in Ungheria ha echi ovunque. Birnbaum nega di aver continuato la sua campagna anti-Soros fuori dall’Ungheria. Ma forse non ne aveva bisogno. Chiunque poteva prendere l’idea e continuarla. Finkelstein e Birnbaum hanno trasformato Soros in un meme. Siti di destra come Breitbard, or Russia Today (controllata dal Cremlino), poteva adottare semplicemente la campagna ungherese, tradurla in altre lingue e darla in pasto con aggiunte locali.

Se i movimenti di destra vogliono fare propaganda oggi, possono recuperare il materiale contro Soros su Internet. È ormai globalizzato, gratis, e adattabile. Birnbaum ha detto che è il denominatore comune dei movimenti nazionalisti.

La campagna di Orbán contro Soros non ha mai usato la parola ebreo, ma è spesso rimasta implicita. Orbán ha spiegato alla sua gente che avrebbero dovuto combattere un “nemico” che era “diverso”, che non aveva una “casa”. Spesso si vedevano graffiti antisemiti sopra le pubblicità “Stop Soros” — gli elettori sapevano cosa gli veniva comunicato.

Finkelstein e Birnbaum hanno creato un mostro di Frankenstein che ha trovato nuova vita su Internet. Cotti a fuoco lento ci sono i risentimenti per il suo assalto al comunismo, e accuse di essere un comunista; ingiurie antisemite e accuse di essere nazista; e soprattutto un vecchio mix di antisemitismo europeo.

Se oggi cerchi Soros, trovi immediatamente immagini della sua testa con tentacoli da piovra, un altro classico antisemita. Anche il figlio di Netanyahu Yair a postato un meme antisemita nel 2017 che mostra Soros e i rettiliani che controllano il mondo.

I membri della comunità ebraica in Ungheria iniziarono a protestare contro la campagna “Stop Soros “del 2017. L’ambasciatore israeliano la condannò. Quando Zoltan Radnoti, un importante raggino ungherese, seppe che la campagna era guidata da due membri della comunità ebrea, fu shockato.

L’antisemitismo che fuoriuscì dalla campagna di Soros non dev’esser sorprendente, anche se Finkelstein e Birnbaum non lo intendevano. Loro hanno importato antiche tematiche e lamenti moderni nella comunicazione del 21esimo secolo. Cosa c’è di nuovo: hanno trasformato Soros nel loro nemico politico centrale.

Le accuse di essere responsabile di antisemitismo fanno soffrire Birnbaum. Lui non è d’accordo. Ha deciso di parlare per contraddirle. Lui è, dopo tutto, un ebreo osservante e membro di molte associazioni pro-Israele.

“Quando abbiamo pianificato la campagna”, disse, “non abbiamo pensato neanche a un secondo la fatto che Soros fosse ebreo”. Birnbaum disse di non saperlo allora e che non ha mai lavorato per antisemiti.

Prima di lavorare per Orbán, ha controllato nei circoli informati in Israele su come Orbán vedesse gli ebrei. Non ha sentito nulla di strano — al contrario, disse, Orbán ha combattuto contro l’antisemitismo e ha persino dato alla sua prima figlia li nome ebreo di “Rahel”.

Dopo tutto, “non posso attaccare qualcuno solo perché è ebreo?” Chiede Birnbaum.

Qualunque fossero le loro intenzioni, l’invettiva anti-Soros è solo aumentata, a volte con conseguenze mortali. Nell’ottobre 2018, un supporter di Trump ha spedito un pacco bomba a Soros. Cinque giorni dopo un uomo armato di pistola è entrato nella sinagoga a Pittsburgh, uccidendo 11 persone. L’attaccante si considerava parte di chi combatte la cospirazione ebrea, che credeva finanziasse l’emigrazione di massa, e ha parlato del caravan e di Soros ai social media.

Quando gli ho chiesto se la campagna contro Soros in Ungheria abbia attizzato l’antisemitismo, Birnbaum ha ammesso che col senno di poi, “la situazione è diventata davvero brutta”, ma in quel momento la scelta di bersagliare Soros era certamente giusta.

Dopo qualche mese dall’incontro di Berlino, Birnbaum venne al Trump hotel in DC, dove un amico, che gestiva la campagna per Trump, Corey Lewandowski, presentava il suo nuovo libro, i nemici di Trump. Kellyanni Conway si presentò pure. Caviale era venduto, 100$ all’oncia. Birnbaum parlava con altri ospiti e ordinò un Moscow Mule.

Ha cambiato idea su Soros? Nessun pentimento?

“L’antisemitismo è qualcosa di eterno, indelebile”, disse Birnbaum. “La nostra campagna non fatto diventare nessuno antisemita che non lo fosse già. Forse gli abbiamo disegnato il bersaglio, niente di più. Lo farei ancora.”

Being More Productive

Una sorta di unione di blog post, uniti dalla tematica della produttività lavorativa. La domanda è se, essendo un insieme di capitoli eterogenei, è possibile valutarlo non globalmente ma come il miglior capitolo letto? Penso che la risposta sia di sì, perché anche se tanti capitoli non mi sono piaciuti, cioé non mi hanno detto niente, cioé ho già all’incirca dimenticato il loro contenuto, almeno un paio di capitoli mi hanno fatto conoscere cose che probabilmente non avrei mai trovato da solo.

Ora, come essere più produttivi:

Pianificare le cose in anticipo (cap. 1, 4, 6, 9). Non ho letto nessun consiglio che non fosse semplice buon senso, ma repetita juvant: pianificare le cose in anticipo rende tutto più semplice e produttivo.

Dire di no presto e spesso (cap. 10, 12). Una tematica importante, cioé quella di ritrovarsi a gestire richieste di utilizzo nostro tempo e, pensandoci bene, ritrovarsi a valutare la richiesta come qualcosa che non vogliamo fare, ma non sapere bene come dire di no. Ebbene il libro consiglia:
– Dire di no direttamente.
– Offrire un piccolo favore in cambio.
– Non essere scortesi, ma non essere neanche gentile.
– Allenarsi a dire di no
Se è un collega in particolare ad abusare della nostra disponibilità:
– Chiarificare sempre le richieste ricevute.
– Evitare le chiamate telefoniche.
– Ritardare le risposte.
– Infine, come ultima risorsa, parlargliene apertamente.

L’attenzione (cap. dal 15 al 23). L’attenzione è un argomento abbastanza ampio, comunque nel libro ci sono i seguenti suggerimenti:
– Monitorare le proprie emozioni.
– Cogliere i frutti a portata di mano.
– Strutturare i momenti di solitudine.
– Allenare l’attenzione,la forza di volontà e il distacco.
– Pensare a un problema difficile andando a passeggiare, magari in mezzo alla natura.

L’attenzione, perché procrastiniamo? (capitolo 25, di Heidi Grant) Questo è il capitolo che ho trovato più interessante.
– Ragione 1: Alcune persone mettono attenzione perché ambiscono a ottenere un risultato (sono prəməuscion fəukəs), ma se hanno la paura o l’ansia di fallire, allora non riusciranno a concentrarsi. In questo caso, per trovare l’attenzione bisogna pensare agli aspetti positivi del risultato. Altre persone invece mettono attenzione quando hanno paura di perdere qualcosa e vogliono mantenere lo status quo (sono privenscion fəukəs). Per loro vale l’opposto, necessitano della paura o l’ansia per mettere attenzione.
– Ragione 2: Alcune persone si basano sui sentimenti, sul “non me la sento”/”me la sento”. Ebbene in questo caso la soluzione è essere come degli automi senza sentimenti e semplicemente fare quello che va fatto. “L’ispirazione è per i dilettanti. Il resto di noi semplicemente si alza e va a lavorare” – Chuck Close.
– Ragione 3: Infine il problema dei lavori ingrati e pesanti. Qua bisogna realizzare che la nostra forza di volontà e motivazione hanno dei limiti per cui c’è poco da fare. Quindi bisogna anticipare un piano d’azione dettagliato usando la tecnica del se-quindi-quando-dove e diminuire drasticamente al quantità di forza di volontà necessaria quando il momento arriverà di fare le cose.

L’attenzione (cap. 26). Altri due trucchi:
– Promettere pubblicamente di concludere un certo lavoro, di modo da coinvolgersi emotivamente al risultato. È un modo per usare l'”hyperbolic discounting”, cioé la tendenza a sopravvalutare i vantaggi immediati rispetto ai vantaggi futuri, a nostro favore.
– Valutare i pro e i contro di non fare nulla, qualcosa che a quanto pare non si fa molto spesso (pensavo di essere l’unico al mondo!), e chiamato “Omission Bias”.

Il burnout (cap. 27). Capire che il burnout ha come causa alla radice di ogni altra causa l’esaurimento di una certa risorsa e che quindi l’unica possibilità è fermarsi e ri-valutare i propri limiti e le proprie scelte.

I pronomi contano (cap. 28 e 31). A quanto pare il modo in cui noi ci rivolgiamo a noi stessi quando parliamo può migliorare i nostri risultati. In particolare rivolgersi a noi stessi col nostro nome piuttosto che il pronome personale “io” pare aiuti a gestire meglio l’emotività e a essere simpatetici coi nostri limiti. Ricordiamo ancora una volta che Roy Baumeister per primo ha dimostrato come la nostra motivazione sia una risorsa finita.

53esimo rapporto del Censis

Analisi impietosa del Censis della situazione italiana, che ha come riferimento il 2007, anno della crisi economica. Più o meno c’è stata una ripresa del PIL con due caveat: a un ritrovato numero di posti di lavoro non corrisponde un altrettanto ritrovato numero di ore lavorate, cioé i part-time spopolano; il PIL è reddito totale fratto numero di persone e sta tenenedo perché il numeratore è invariato, ma il denominatore in declino, soprattutto nel mezzogiorno. Gli italiani dunque hanno resistito alla crisi ma hanno coltivato un senso di sfiducia nel futuro e negli altri al punto che ormai ognuno sta pensando a se stesso. La politica stessa negli ultimi dieci anni è rimasta in un limbo senza prendere decisioni ma concenrandosi sui messaggi e sui loro effetti. Rimane uno sguardo positivo verso l’Europa, il 63% degli italiani vuole l’euro e non la lira come il 24%.

Insomma, navighiamo a vista senza saper bene in cosa sperare e e mentre la nave imbarca acqua.

fonti: http://www.censis.it/rapporto-annuale/sintesi-del-53%C2%B0-rapporto-censis/il-furore-di-vivere-la-solitaria-difesa-di-se,

https://www.termometropolitico.it/1471293_il-rapporto-del-censis-dice-solo-che-siamo-un-popolo-invincibile.html

Nessuno è troppo piccolo per fare la differenza.

I discorsi di Greta Thunberg. La nostra casa è in fiamme ed è giunta l’ora di farci prendere dal panico. Certo il panico è una brutta cosa, ma la casa brucia ed è ancora peggio.

Il dottore ci diagnostica un tumore iniziale, ce ne spiega il funzionamento e il decorso clinico della malattia. Quindi ci spiega che possiamo curarci con una semplice operazione chirurgica. Ora noi davvero crediamo parola per parola a tutto quello che ci dice, ma visto che il tumore è a un testicolo e decidiamo invece di curarci col thé verde. Siamo intelligenti o siamo dei cretini?

I climatologi ci spiegano che la Terra si sta scaldando e che i risultati sono imprevedibili e nefasti e che in pochi anni diventeranno irreversibili. Ma noi ci facciamo due conti e decidiamo di stare a guardare. Siamo intelligenti o siamo dei cretini?

Stabilità

Stabilità: una condizione transitoria in cui mettiamo le cose brutte sotto al tappeto e facciamo sorrisoni ripetendoci “fin qui tutto bene, il problema non è la caduta, ma l’atterraggio”
Instabilità: la condizione naturale di un qualunque sistema complesso

https://twitter.com/nntaleb/status/1188869527637020672?fbclid=IwAR0VkFqiM4E6AND9RJ5GOj2CImSoKq_h9Tj465LGVUkJkuqT6Q073DK3SRo