Being More Productive

Una sorta di unione di blog post, uniti dalla tematica della produttività lavorativa. La domanda è se, essendo un insieme di capitoli eterogenei, è possibile valutarlo non globalmente ma come il miglior capitolo letto? Penso che la risposta sia di sì, perché anche se tanti capitoli non mi sono piaciuti, cioé non mi hanno detto niente, cioé ho già all’incirca dimenticato il loro contenuto, almeno un paio di capitoli mi hanno fatto conoscere cose che probabilmente non avrei mai trovato da solo.

Ora, come essere più produttivi:

Pianificare le cose in anticipo (cap. 1, 4, 6, 9). Non ho letto nessun consiglio che non fosse semplice buon senso, ma repetita juvant: pianificare le cose in anticipo rende tutto più semplice e produttivo.

Dire di no presto e spesso (cap. 10, 12). Una tematica importante, cioé quella di ritrovarsi a gestire richieste di utilizzo nostro tempo e, pensandoci bene, ritrovarsi a valutare la richiesta come qualcosa che non vogliamo fare, ma non sapere bene come dire di no. Ebbene il libro consiglia:
– Dire di no direttamente.
– Offrire un piccolo favore in cambio.
– Non essere scortesi, ma non essere neanche gentile.
– Allenarsi a dire di no
Se è un collega in particolare ad abusare della nostra disponibilità:
– Chiarificare sempre le richieste ricevute.
– Evitare le chiamate telefoniche.
– Ritardare le risposte.
– Infine, come ultima risorsa, parlargliene apertamente.

L’attenzione (cap. dal 15 al 23). L’attenzione è un argomento abbastanza ampio, comunque nel libro ci sono i seguenti suggerimenti:
– Monitorare le proprie emozioni.
– Cogliere i frutti a portata di mano.
– Strutturare i momenti di solitudine.
– Allenare l’attenzione,la forza di volontà e il distacco.
– Pensare a un problema difficile andando a passeggiare, magari in mezzo alla natura.

L’attenzione, perché procrastiniamo? (capitolo 25, di Heidi Grant) Questo è il capitolo che ho trovato più interessante.
– Ragione 1: Alcune persone mettono attenzione perché ambiscono a ottenere un risultato (sono prəməuscion fəukəs), ma se hanno la paura o l’ansia di fallire, allora non riusciranno a concentrarsi. In questo caso, per trovare l’attenzione bisogna pensare agli aspetti positivi del risultato. Altre persone invece mettono attenzione quando hanno paura di perdere qualcosa e vogliono mantenere lo status quo (sono privenscion fəukəs). Per loro vale l’opposto, necessitano della paura o l’ansia per mettere attenzione.
– Ragione 2: Alcune persone si basano sui sentimenti, sul “non me la sento”/”me la sento”. Ebbene in questo caso la soluzione è essere come degli automi senza sentimenti e semplicemente fare quello che va fatto. “L’ispirazione è per i dilettanti. Il resto di noi semplicemente si alza e va a lavorare” – Chuck Close.
– Ragione 3: Infine il problema dei lavori ingrati e pesanti. Qua bisogna realizzare che la nostra forza di volontà e motivazione hanno dei limiti per cui c’è poco da fare. Quindi bisogna anticipare un piano d’azione dettagliato usando la tecnica del se-quindi-quando-dove e diminuire drasticamente al quantità di forza di volontà necessaria quando il momento arriverà di fare le cose.

L’attenzione (cap. 26). Altri due trucchi:
– Promettere pubblicamente di concludere un certo lavoro, di modo da coinvolgersi emotivamente al risultato. È un modo per usare l'”hyperbolic discounting”, cioé la tendenza a sopravvalutare i vantaggi immediati rispetto ai vantaggi futuri, a nostro favore.
– Valutare i pro e i contro di non fare nulla, qualcosa che a quanto pare non si fa molto spesso (pensavo di essere l’unico al mondo!), e chiamato “Omission Bias”.

Il burnout (cap. 27). Capire che il burnout ha come causa alla radice di ogni altra causa l’esaurimento di una certa risorsa e che quindi l’unica possibilità è fermarsi e ri-valutare i propri limiti e le proprie scelte.

I pronomi contano (cap. 28 e 31). A quanto pare il modo in cui noi ci rivolgiamo a noi stessi quando parliamo può migliorare i nostri risultati. In particolare rivolgersi a noi stessi col nostro nome piuttosto che il pronome personale “io” pare aiuti a gestire meglio l’emotività e a essere simpatetici coi nostri limiti. Ricordiamo ancora una volta che Roy Baumeister per primo ha dimostrato come la nostra motivazione sia una risorsa finita.