Trigəs

Trigəs-spakiŋ pozitiv cieinj ænd meikiŋ it læst
di Marshall Goldsmith

Copertina Trigəs

Marshall Goldsmith è un kəuch aziendale pagato per indurre i manigə a cambiare il proprio comportamento. Il suo obiettivo nello scrivere il libro è spiegarci come le persone siano vittime inconsapevoli dell’ambiente circostante. Ha un approccio pragmatico e riporta molti esempi di manigə che ha aiutato (a non essere licenziati). Un trigə è uno stimolo ambientale che influenza il nostro comportamento. L’idea della parola inglese è proprio quella del grilletto della pistola, ma se non si parla di armi ha più il significato di innesco o causa scatenante. Il punto fondamentale è che spesso siamo in situazioni in cui non abbiamo il controllo degli stimoli ambientali e anzi dobbiamo convivere con essi, quindi l’unico cosa che possiamo controllare sono le nostre reazioni. D’altra parte non tutti gli stimoli devono necessariamente negativi, anzi molti possono indurci a comportamenti migliori e gentili. In ogni caso, solitamente ignoriamo del tutto quanto l’ambiente influenzi il nostro comportamento.

Il libro inizia con due verità immutabili, che appaiono quasi ovvie, ma personalmente più ci penso e più trovo siano ricche di conseguenze in qualunque contesto sociale:

Verità 1: È difficile cambiare significativamente il proprio comportamento.
Verità 2: Nessuno ci può far cambiare se non lo desideriamo veramente.

Segue anche una terza verità, ma che è più che altro una triste constatazione, ognuno di noi predica bene ma razzola male (altrimenti, spiega nel libro, come mai non siamo le persone che vorremmo essere?). Facilmente ci diciamo che andremo a letto presto e che da oggi saremo a dieta stretta, come se i cambiamenti potessero avvenire semplicemente con illuminazioni improvvise, per ritrovarci alle tre del mattino a finire la torta al cioccolato in un attacco di fame chimica, sopraggiunta dopo aver scelto il Karaoke alla responsabilità. (Quest’ultima frase nel libro non la trovate.)

Marshall delinea quindi i passi da compiere che lui applica coi suoi clienti, premettendo però la volontà personale al cambiamento, in quanto il suo metodo funziona sulla verità 1, demandando la verità 2 a una vera e propria minaccia sociale – se non cambi ti licenziano.

Passo uno: Delineare un obiettivo rispetto a quattro punti di vista: Creare nuove strade, Eliminare ciò che non funziona (ma che non vogliamo ammettere), Accettare l’inevitabile e Preservare ciò che funziona.

Passo due: porsi domande in forma attiva. Una domanda in forma passiva è la seguente: “Hai trascorso una buona giornata?”. Apparentemente innocua, è una domanda che in realtà ci consente ogni sorta di egoismo controproducente, in cui possiamo manifestare il nostro malumore incolpando il mondo di aver trascorso una pessima giornata, o comunque una giornata in cui qualcosa poteva andare meglio. La stessa domanda in forma attiva è: “Ti sei impegnato al massimo per trascorrere una buona giornata?”. Detta così si rivolge a noi stessi e alla nostra responsabilità, rendendo più ovvi i tentativi di depistaggio.

Passo tre: scrivere le domande come obiettivi giornalieri e controllare quotidianamente lo stato di quelle domande, quotidianamente, preferibilmente con un voto da 1 a 10.

Le domande attive ricordano il da farsi e lo focalizzano, dividendolo in parti che possono essere affrontate e digerite dal nostro razzolare. Marshall fa un esempio di una ragazza che vuole dimagrire, laddove i membri della sua famiglia sono scettici a riguardo. Probabilmente uno dei cambiamenti più difficili in assoluto in un contesto ostile. Inoltre fa notare che quella ragazza non ha sotto la cintura dei successi precedenti, spiegando che di solito chi è già abituato al successo affronta i cambiamenti personali con più facilità.

Marshall tesse le lodi di questo sistema, spiegando che i suoi clienti migliori non solo hanno raggiunto gli obiettivi, ma entusiasti dei loro cambiamenti, hanno in seguito operato altri cambiamenti. Nel farlo, sono migliorati nel cambiare e sono anche diventati più rapidi nel farlo. Alla fine, hanno smesso di necessitare un kəuch esterno, diventando kəuch di se stessi. Marshall si lancia in un discorso su come essere persone migliori, cioé chiedendoci se in ogni istante stiamo dando il massimo per dare un contributo positivo a ciò che sta succedendo. Suppongo voglia trasformare ognuno di noi in uno stimolo positivo per l’ambiente di cui facciamo parte, o almeno frenare gli stimoli negativi.

La terza parte del libro raccoglie alcuni aspetti chiave in ordine sparso. Sottolinea l’importanza di strutturare le proprie giornate, di modo da vivere con dei punti di riferimento. Cita l’esempio dei chirurghi che si lavano le mani prima di ogni intervento e il fatto che spesso è semplicemente il nostro ego ad impedirci di abbracciare delle regole che possono evidentemente renderci più felici senza chiederci nulla in cambio. Quindi discute l’esaurimento dell’ego, cioé la stanchezza mentale che sopraggiunge dopo una giornata intensa di riunioni e decisioni. L’esaurimento dell’ego indebolisce la nostra capacità di autocontrollo e contribuisce a stimolari comportamenti di cui in seguito ci pentiamo. Inoltre è sempre l’ego che ci assolve dai nostri peccati o ci fa puntare il dito sempre su qualcos’altro tranne che su l’unica cosa che possiamo modificare, noi stessi.

Per concludere questa recensione, un mio commento personale sul libro. Ha uno stile colloquiale non particolarmente ordinato o organizzato. Ma è molto chiaro, diretto e adduce tanti esempi e consigli pratici. Quello che mi ha colpito è l’enorme quantità di buddismo e stoicismo che sottendono a tutto quello che dice, applicato a problemi estremamente reali e pratici. Marshall poi non scherza, sembra sì un ridente bonaccione, ma poi ti colpisce nell’ego come una cintura nera di arti marziali, che ha ripetuto quella stessa mossa sotto una fredda cascata per trent’anni.