La logica dei Ciarlatani
O meglio, si può contraddire un ciarlatano? e la risposta breve è: no.
Tipicamente un ciarlatano afferma convintamente che la Terra è piatta, oppure che l’acqua può curare le malattie. Ha solitamente una certa capacità di mostrare ragioni a supporto delle sue convinzioni. Quest’ultimo fatto è molto curioso, come si fa ad argomentare che l’acqua abbia un meccanismo curativo interno? come spiegare che le navi che, all’orizzonte, sembrano navigare su una cresta d’acqua curva? Ma no, un ciarlatano si fa beffe di questi dubbi, li scaccia con una mano mentre con l’altra si fuma una sigaretta buttandoci il fumo in faccia.
Ora mi chiedo, su quale logica si basano i ciarlatani? Perché una logica la devono seguire per forza, e quella logica deve fornirgli gli strumenti per rispondere alle domande che gli vengono poste. A dirla tutta, con la logica devono essere parecchio bravi, perché in effetti è l’unico strumento con cui possono argomentare, non avendo esperimenti da mostrare (e che li confuterebbero immediatamente).
Consideriamo in partenza i sillogismi di Aristotele. Ad esempio
“Tutti i draghi sono animali” (premessa)
Questa è un’affermazione data, che può essere usata per concludere sillogisticamente
“Qualche animale è un drago” (tesi)
L’astuto lettore sobbalza sulla sedia, “ma come è possibile!” In realtà non è una conclusione deduttiva ma negli Analitici Primi (parte 2) è Aristotele stesso a spiegarci che le premesse hanno necessariamente questa proprietà semantica; d’altra parte, se il contrario della tesi “Nessun animale è un drago” fosse vera, la premessa sarebbe falsa. Il problema qui è che nel momento in cui l’interlocutore afferma “L’omeopatia cura le malattie”, ne conseguirà direttamente che “Questa cura omeopatica curerà la tua malattia”. Insomma, è proprio molto antipatico che da una premessa farlocca se ne possa conseguire un’esistenza, anche se essa stessa altrettanto farlocca.
Con lo sviluppo della logica del primo ordine c’è stato un passetto in avanti, difatti il linguaggio dei sillogismi viene tradotto in maniera più felice con
“Se un qualcosa è un drago, allora è un animale” (premessa)
e da qui non dobbiamo per forza avere l’esistenza di un drago, in quanto la tesi “Nessun animale è un drago” non contraddice la premessa, ma implica, molto ovviamente, che non ci sono draghi! La premessa rimane valida, possiamo ripeterla come un mantra e ha una logica assolutamente corretta, se un giorno camminando per strada vedremo un drago, sapremo che è un animale. Aspetta e spera.
Invece dei draghi, di cui ho grande rispetto, il ciarlatano fa uso di termini “Not Even Wrong”. Non definirà mai con precisione cosa sia “l’acqua omeopatica”, e ne avrà vantaggio nel momento in cui qualcuno proverà a confutarlo. “Ho preso la tua acqua omeopatica e non sono guarito” “sì ma di che forma era il bicchiere da cui la bevevi?”, e così via. Il ciarlatano può giocare coi termini generici anche in maniera indiretta, tipo “L’acqua omeopatica è piena di energia positiva” e “l’energia positiva cura le malattia”. Vi voglio vedere se avrete il coraggio di prendervela con l’energia positiva, maledetti polemici che non siete altro. Per inciso, qualcosa di molto simile succede per la Terra piatta, che ancora non ho capito esattamente di che forma sia, visto che “la comunità non ha un consenso su una mappa specifica”, però “la comunità ha il consenso che la Terra non sia tonda”. Non chiedetemi dove ho preso queste frasi, ma sono vere.
E dunque si arriva all’amara conclusione che se il nostro interlocutore parla d’acqua curativa o terre piatte, potrà sviluppare la sua logica a piacimento e tranquillamente controbattere alle osservazioni, perché del nulla se ne può parlare in lungo e in largo e per ore e ore.
La rivoluzione dimenticata
Ah, la Scienza. Visti i successi dell’ultimo secolo, tipo la Fisica Nucleare e la Genetica, verrebbe da pensare che la sua importanza sia assoluta, senza tempo; invece pare non essere così, tutto il contrario.
Ho letto questo libro perché mi è stato consigliato da persone fantastiche e per approfondire un po’ un problema che mi pare molto attuale: la perpetuazione della scienza. Quello che temo è che, a valle di tutti i successi del pensiero scientifico, i nostri posteri si possano tenere le tecnologie acquisite e, perché no?, gettare nello sciacquone tutto il resto. Ma no dai! direte voi. E invece questo libro fornisce un esempio molto convincente di fatti già successi.
Greci come Euclide (Geometria e Ottica, IV-III secolo a.C), Erofilo (Anatomista, 335-280), Aristarco di Samo (Astronomo, 310-230), Archimede (287-212), Ctesibio (Pneumatica, 285-222), Apollonio di Perga (Coniche, III-II secolo a.C.), Ipparco (Astronomo, 200-120), Erone (Automi, 10-70) e molti altri, seguivano indubbiamente un metodo della conoscenza astratto, deduttivo e in grado di portare a risultati pratici. Aka metodo scientifico. Quello che hanno scritto portò a dei risultati pratici, ad esempio il Faro di Alessandria (300 a.C. – XIV secolo). Alto 130 metri, è durato più di 1500 anni, la sua luce era basata sullo studio delle coniche di Euclide e Apollonio di Perga. Una figata.
L’elenco è lungo, ma lo salto per arrivare al punto fondamentale, che mi sfuggiva. La maggior parte dei loro scritti, delle idee, dei calcoli, dei prototipi, è andato perduto. In parte perché molte conoscenze erano considerate (giustamente) strategiche, e quindi non erano divulgate. Ma anche perché l’arrivo dei romani annientò queste idee, per poi ri-incorporarle un po’ a casaccio in scritti successivi, come in Plinio il Vecchio (Naturalista, 23-79) e in Tolomeo (Geocentrismo, 100-175). Ma i tentativi seguenti di recupero appaiono (commento mio) ridicoli. Non capivano questi greci cosa intendessero, inoltre non riportavano i testi, ma li deridevano per poi dire la loro idea (sbagliatissima).
Il risultato è che davvero non si è ripetuta una bolla di conoscenza come quella greca per molto tempo. Ad esempio, nessuno sapeva ricostruire un faro come quello di Alessandria. La lanterna di Genova è alta 77 metri e la sua luce non si basava sulle coniche come quelle greche perché non le conoscevano e non sapevano ricavarle. Ma sapevano che qualcosa c’era, ah se lo sapevano. Pensatori come Leonardo da vinci (1452-1519) o Galileo Galilei (1564-1642) avevano probabilmente accesso ad alcune opere greche (andate perdute) e sicuramente sapevano di una non meglio determinata scienza antica greco-romana.
Concludo questa panoramica, non recensione, del libro, che non è proprio una lettura da comodino. Quello che è successo alla scienza greca è triste ma è anche interessante perché umano, troppo umano.
Questione di Virgole
Luccone illustra l’uso della virgola; ma anche di altri segni interpuntori come il punto-e-virgola, il punto, i due punti; e si profonde in esempi d’autore su usi eleganti e unici di questi segni. Davvero, gli esempi sono veramente tanti; per questo penso sia un mast per chi è interessato a un’opinione informata, aggiornata, corroborata, sull’uso di questi segnetti—ammettiamolo, a volte un po’ misteriosi!
Ho trovato molti usi interessanti della punteggiatura e tanti esempi che mi hanno fatto riflettere su come la uso io stesso. Riporterò (rielaborate da me, quindi usate le pinze) un paio di cosuccie che non avevo mai ragionato in maniera sistematica prima d’ora:
Il soggetto espanso
Quando il soggetto della frase è composto da molte parole, la tentazione di chiuderlo con una virgola è forte, introducendo un’erronea divisione dal verbo. Ecco un esempio in cui la virgola è errata:
L’idea che per tutta l’estate avevan corso le autostrade stretti insieme sulla moto, mi fece una rabbia.
(C.Pavese, Il compagno)
La virgola prima della e
Nel libro dice, chiaro e tondo, “La virgola prima di e e di ma ci va solo se è necessaria”. Esempi:
- Quando c’è un cambio di soggetto, come qui:
Faceva freddo, e tutti tremavano, coperti con la loro tela leggera
(P.P.Pasolini, L’odore dell’India) - Con un cambio di tempo:
Mentre parlavano di Mara, io badavo a intrattenere il mio pensiero, e mi chiesi se Doro intendeva come me quei rimpianti di Clelia e come mai non gli seccava che neanche per me Clelia avesse dei segreti.
(C.Pavese, La spiaggia) - Quando si introdurrebbe un’ambiguità:
Poi la porta si spalancò, e piano, con molti riguardi, due camici bianchi portarono fuori una barella.
(C.Pavese, Tre donne sole)
L’Elenco
Spesso una frase o un paragrafo consistono di un elenco coordinato di elementi. La punteggiatura serve da collante e fornisce il ritmo della lettura, sostenendo la coesione di elementi che sono diversi ma accomunati da un qualcosa che lo scrittore vuole trasmettere al lettore. Vediamo come la punteggiatura si trasforma man mano che gli elementi diventano più complessi.
- Le donne, i cavallier, l’arme, gli amori,
le cortesie, l’audaci imprese io canto,
(L. Ariosto, L’Orlando Furioso)
Questo è il caso base enumerativo, una semplice lista di sei complementi oggetti divisi dalla virgola.
- Giusy regge il Bibo per i capelli, lo tira a sé, gli affonda il viso sul petto.
(P.V. Tondelli, Altri Libertini)
Qui abbiamo sembra una lista, ma di azioni. Le brevi frasi sono molto correlate, per cui non vogliamo spezzarle con il punto. La virgola è la connessione debole che ci serve. - Io pensavo a queste cose mentre servivo nel negozio, e non andavo a trovarlo perché tanto era inutile, e non parlavo più di lui con nessuno.
(C.Pavese, Il compagno)
Anche qui è una lista di azioni correlate, la virgola divide ma Pavese necessita un qualcosina in più, che trova in “, e”.
- Poco alla volta anche i movimenti sembrano privi di un seguito: mi sdraio sul letto e mi rialzo; vado alla finestra e non vedo l’esterno; metto ordine sul tavolino e poi mi perdo in qualche altro punto della stanza.
(D. Del Giudice, Lo stadio di Wimbledon)
Ma a Roma le stelle non si vedono. Una cappa grigio-fostorescente e i casermoni nascondono il cielo; e poi ho il raffreddore.
(N.Ammaniti, Branchie)
Le frasi ora sono più complesse ma continuano ad avere lo stesso ordine di importanza, sono autonome ma connesse. La virgola è troppo debole per unirle, perché si confonderebbe con esse. Qua arriva in soccorso il mitico punto e virgola.
- Un tale ammazzò la moglie e ne fece salsicce. Il fattaccio si riseppe. Il tale fu arrestato. Fu rinvenuta un’ultima salsiccia. L’indignazione fu grande. Il giudice supremo del paese avocò il caso a sé. L’aula del tribunale è luminosa. Il sole irrompe dalle finestre. Le pareti sono specchi abbaglianti. La gente è una massa in ebollizione. L’aula ne è piena. Stanno seduti sui davanzali delle finestre. Sono appesi ai lampadarari. Sulla destra luccia la testa pelata del pubblico accusatore. È rossa.
(F.Dürrenmatt, La salsiccia)
Infine un caso in cui le frasi sono complesse e autonome, e anche connesse, ma temporalmente. L’autore quindi crea un elenco dove l’ordine è rilevante e viene letto come una storia dal ritmo serrato. Sia la virgola che il punto e virgola sarebbero troppo deboli per questo obiettivo. Quest’ultimo esempio è tutta una mia rielaborazione.
Trigəs
Trigəs-spakiŋ pozitiv cieinj ænd meikiŋ it læst
di Marshall Goldsmith
Marshall Goldsmith è un kəuch aziendale pagato per indurre i manigə a cambiare il proprio comportamento. Il suo obiettivo nello scrivere il libro è spiegarci come le persone siano vittime inconsapevoli dell’ambiente circostante. Ha un approccio pragmatico e riporta molti esempi di manigə che ha aiutato (a non essere licenziati). Un trigə è uno stimolo ambientale che influenza il nostro comportamento. L’idea della parola inglese è proprio quella del grilletto della pistola, ma se non si parla di armi ha più il significato di innesco o causa scatenante. Il punto fondamentale è che spesso siamo in situazioni in cui non abbiamo il controllo degli stimoli ambientali e anzi dobbiamo convivere con essi, quindi l’unico cosa che possiamo controllare sono le nostre reazioni. D’altra parte non tutti gli stimoli devono necessariamente negativi, anzi molti possono indurci a comportamenti migliori e gentili. In ogni caso, solitamente ignoriamo del tutto quanto l’ambiente influenzi il nostro comportamento.
Il libro inizia con due verità immutabili, che appaiono quasi ovvie, ma personalmente più ci penso e più trovo siano ricche di conseguenze in qualunque contesto sociale:
Verità 1: È difficile cambiare significativamente il proprio comportamento.
Verità 2: Nessuno ci può far cambiare se non lo desideriamo veramente.
Segue anche una terza verità, ma che è più che altro una triste constatazione, ognuno di noi predica bene ma razzola male (altrimenti, spiega nel libro, come mai non siamo le persone che vorremmo essere?). Facilmente ci diciamo che andremo a letto presto e che da oggi saremo a dieta stretta, come se i cambiamenti potessero avvenire semplicemente con illuminazioni improvvise, per ritrovarci alle tre del mattino a finire la torta al cioccolato in un attacco di fame chimica, sopraggiunta dopo aver scelto il Karaoke alla responsabilità. (Quest’ultima frase nel libro non la trovate.)
Marshall delinea quindi i passi da compiere che lui applica coi suoi clienti, premettendo però la volontà personale al cambiamento, in quanto il suo metodo funziona sulla verità 1, demandando la verità 2 a una vera e propria minaccia sociale – se non cambi ti licenziano.
Passo uno: Delineare un obiettivo rispetto a quattro punti di vista: Creare nuove strade, Eliminare ciò che non funziona (ma che non vogliamo ammettere), Accettare l’inevitabile e Preservare ciò che funziona.
Passo due: porsi domande in forma attiva. Una domanda in forma passiva è la seguente: “Hai trascorso una buona giornata?”. Apparentemente innocua, è una domanda che in realtà ci consente ogni sorta di egoismo controproducente, in cui possiamo manifestare il nostro malumore incolpando il mondo di aver trascorso una pessima giornata, o comunque una giornata in cui qualcosa poteva andare meglio. La stessa domanda in forma attiva è: “Ti sei impegnato al massimo per trascorrere una buona giornata?”. Detta così si rivolge a noi stessi e alla nostra responsabilità, rendendo più ovvi i tentativi di depistaggio.
Passo tre: scrivere le domande come obiettivi giornalieri e controllare quotidianamente lo stato di quelle domande, quotidianamente, preferibilmente con un voto da 1 a 10.
Le domande attive ricordano il da farsi e lo focalizzano, dividendolo in parti che possono essere affrontate e digerite dal nostro razzolare. Marshall fa un esempio di una ragazza che vuole dimagrire, laddove i membri della sua famiglia sono scettici a riguardo. Probabilmente uno dei cambiamenti più difficili in assoluto in un contesto ostile. Inoltre fa notare che quella ragazza non ha sotto la cintura dei successi precedenti, spiegando che di solito chi è già abituato al successo affronta i cambiamenti personali con più facilità.
Marshall tesse le lodi di questo sistema, spiegando che i suoi clienti migliori non solo hanno raggiunto gli obiettivi, ma entusiasti dei loro cambiamenti, hanno in seguito operato altri cambiamenti. Nel farlo, sono migliorati nel cambiare e sono anche diventati più rapidi nel farlo. Alla fine, hanno smesso di necessitare un kəuch esterno, diventando kəuch di se stessi. Marshall si lancia in un discorso su come essere persone migliori, cioé chiedendoci se in ogni istante stiamo dando il massimo per dare un contributo positivo a ciò che sta succedendo. Suppongo voglia trasformare ognuno di noi in uno stimolo positivo per l’ambiente di cui facciamo parte, o almeno frenare gli stimoli negativi.
La terza parte del libro raccoglie alcuni aspetti chiave in ordine sparso. Sottolinea l’importanza di strutturare le proprie giornate, di modo da vivere con dei punti di riferimento. Cita l’esempio dei chirurghi che si lavano le mani prima di ogni intervento e il fatto che spesso è semplicemente il nostro ego ad impedirci di abbracciare delle regole che possono evidentemente renderci più felici senza chiederci nulla in cambio. Quindi discute l’esaurimento dell’ego, cioé la stanchezza mentale che sopraggiunge dopo una giornata intensa di riunioni e decisioni. L’esaurimento dell’ego indebolisce la nostra capacità di autocontrollo e contribuisce a stimolari comportamenti di cui in seguito ci pentiamo. Inoltre è sempre l’ego che ci assolve dai nostri peccati o ci fa puntare il dito sempre su qualcos’altro tranne che su l’unica cosa che possiamo modificare, noi stessi.
Per concludere questa recensione, un mio commento personale sul libro. Ha uno stile colloquiale non particolarmente ordinato o organizzato. Ma è molto chiaro, diretto e adduce tanti esempi e consigli pratici. Quello che mi ha colpito è l’enorme quantità di buddismo e stoicismo che sottendono a tutto quello che dice, applicato a problemi estremamente reali e pratici. Marshall poi non scherza, sembra sì un ridente bonaccione, ma poi ti colpisce nell’ego come una cintura nera di arti marziali, che ha ripetuto quella stessa mossa sotto una fredda cascata per trent’anni.
Il Bitcoin è uno schema Ponzi?
Sin dal 2013, anno in cui ho cominciato a seguire il Bitcoin, ho sempre trovato nuovi articoli di detrattori delle criptovalute. Ingenuamente pensavo che con gli anni, e con un eventuale successo del criptomondo, i detrattori sarebbero spariti per dedicarsi a detrazioni migliori, ma questo non sta succedendo, anzi. Sicuramente si sono aggiunte altre tipologie di articoli fuffa, ma le detrazioni sono praticamente invariate.
Ora questo recente articolo di Repubblica, del 6 luglio 2019, ha due caratteristiche: riassume le critiche più ingenue (come se non le avessimo mai lette eh) ed è molto recente. Lo userò come punto di riferimento per parlare di queste critiche e di come mi paiano più delle reazioni istintive piuttosto che razionali, mosse da giornali e persone che non sono certo esperte del settore (per cui non è davvero importante chi lo abbia scritto).
- Primo punto: “Il bitcoin … non ha nessun asset o garanzia sottostante.” Questa osservazione la leggo e la rileggo in tutte le salse. Anche Trump ha twittato che il valore dei Bitcoin è based on thin air e l’idea generale è affermare che non ci sia niente sotto. Peccato che a garanzia del Bitcoin ci sia la matematica certezza che una certa quantità possa essere trasferita dall’utente A all’utente B, in tutto il mondo, 24/7. Questo lo rende un asset unico e indipendente, e a mio avviso sono i veri punti di forza del Bitcoin.
Ma sento già le voci dal fondo della stanza chiedere “Ma perché dovrebbe avere un valore?”, “Chi ci guadagna?”. Ci guida il suddetto articolo in questo, domandandosi se - Secondo punto: “Il funzionamento del bitcoin è molto più simile a quello di uno schema piramidale.” La tesi è che chi compra Bitcoin guadagni solo con l’ingresso di un nuovo acquirente che lo acquisti ad un prezzo superiore. Di qui l’autore prosegue con una ricostruzione un po’ fantasiosa che lui applica al Bitcoin: la grande maggioranza delle monete virtuali appartengono a pochi individui che probabilmente sono stati tra gli ideatori dello schema.
Qui c’è un sillogismo falso: qualcosa è una truffa se la gente ci vuole guadagnare sopra. Certo, le truffe esistono. Ma diciamocelo francamente, chi è che compra un bene speculativo per volerci perdere? Acquistare un qualcosa al fine di rivenderlo a un prezzo superiore non solo non è truffa, ma è un comportamento alla base del nostro sistema capitalista. Sento grida perbeniste provenire dalle fritture pareti, ma si capisce cosa intendo.
Poi due passi altrettanto falsi. Intanto pensare che esistano degli individui che abbiano ideato il Bitcoin al fine di truffare il resto del mondo. È come pensare che gli inventori dell’automobile cercassero escamotage per vendere gomma e metallo a caro prezzo, o che Tesla volesse creare la lobi degli elettricisti. E inoltre i suddetti individui oltre a sbattersi per fare teoria e codice, avrebbero anche previsto la crescita economica del valore. Insomma dei geni assoluti in Informatica e Finanza, ma dediti anima e corpo a truffe da quattro soldi.
Il secondo passo falso è banalizzare il mercato della domanda e dell’offerta. Adam Smith docet, è l’unica fonte di conoscenza che abbiamo sugli asets. Se il Bitcoin ha un dato valore in un mercato indubbiamente libero, quello è e va preso come un fatto. Pensare che non crolli perchè sostenuto da un complotto è una considerazione da forum della Terra Piatta, o che almeno andrebbe corroborata con dati forti e certi. - Terzo punto: “per sostenere questo costo i mainəs debbono vendere i bitcoin ‘guadagnati’ ed hanno dunque bisogno un flusso continuo di nuovi soggetti disposti ad acquistarli…. dunque anche il bitcoin è destinato a crollare”
Non penso che nessuno sappia prevedere il futuro, ma vorrei notare che forse, magari, chissà, il Bitcoin un domani verrà effettivamente utilizzato, e questo utilizzo verrà pagato dagli utenti, allo stesso modo in cui si pagano le commissioni per le carte di credito. Ma qui capitolo all’interno della tautologia: ebbene sì, un sistema funziona fintanto che è usato e crolla quando smette di essere usato. - Il quarto punto è la distribuzione dei Bitcoin rispetto agli indirizzi: “meno di 2.000 soggetti infatti possiedono da soli circa il 42% dei bitcoin“. Non voglio insistere sulla semplicità troppo semplice dell’analisi, ma suppongo che gli indirizzi degli ikscieing siano fra questi, e quindi la vera piramide sia un po’ diversa da quella immaginata dall’autore. Vabbeh, comunque ricordiamo che, ad esempio, l’1% delle famiglie statunitensi detiene il 40% della ricchezza complessiva degli Stati Uniti. Personalmente non penso sia una cosa brutta o bella, ma sicuramente non determina uno schema piramidale, a meno di non considerare anche le valute nazionali come dei grossi, grassi, schemi piramidali.
- Il quinto punto non è un argomento presente, ma piuttosto una serie di argomenti assenti, cioé quell’insieme di caratteristiche che sono onnipresenti negli schemi piramidali e davvero li definiscono: misteriosi interessi guadagnati senza un rischio apparente (diversi dalle plusvalenze), la necessità di reclutare personalmente altre persone, la scala dei guadagni che varia a seconda del momento in cui sei entrato nello schema, l’opacità del sistema (mentre i Bitcoin sono addirittura pseudonimi). Rincaro la dose, ma in che modo i Bitcoin possono assomigliare a uno schema Ponzi come quello di Bernie Madoff?
Dato il contesto dilettantistico dell’articolo, l’unica spiegazione che posso dare a così tante affermazioni specifiche campate per aria sia che siano certi lettori a cercare conferme e a pagare la disinformazione. Speriamo cessino, ma non ci metterò il cuore sopra.
Laibrə Koin: scherzavamo.
Un mese e mezzo dopo aver promesso una valuta digitale che avrebbe salvato 1.7 Miliardi di persone senza accesso al sistema bancario, Feisbuk si tira indietro, “troppo rischioso”. O meglio, vediamo le loro parole dalla relazione del secondo trimestre:
“Abbiamo recentemente annunciato la nostra partecipazione alla associazione Laibrə, che avrebbe supervisionato una moneta digitale basata sulla tecnologia del blokciein, e i nostri piani per Calaibrə, un wolit digitale per Laibrə che ci aspettiamo di lanciare per Mesingə, Wotsæp, e come applicazione stændələun.
[…] leggi e regolamentazioni potrebbero ritardare o impedire il lancio della moneta Laibrə e lo sviluppo dei nostri prodotti e servizi, incrementare i nostri costi operativi, richiedere una significativa gestione del tempo e dell’attenzione, o comunque danneggiare il nostro biznəs. In aggiunta, l’accettazione del mercato di questa moneta è soggetta ad un’incertezza significativa. Quindi non ci può essere l’assicurazione che Laibrə or i nostri prodotti associati e i servizi saranno disponibili in tempo, o se mai lo saranno.”
Anche se il trimestre è finito il 30 giugno, la relazione sembra finalizzata il 19 luglio, tre giorni dopo l’audizione al senato del capo di Calibra David Marcus. Per cui ritengo sia scritto in conseguenza a quell’audizione, dove l’accoglienza non è stata fantastica e addirittura qualche senatore ha decantato le lodi del Bitcoin piuttosto che dello Zakbak.
La mia opinione personale è ancora valida, è un’idea interessante (anche se scollegata del tutto dalle criptovalute), ma non la vedremo sviluppata molto presto.
Cosa penso della Laibrə Koin
Riassunto della puntata precedente: Laibrə Koin è un təukən il cui valore si basa su un fondo di investimento composto da un paniere di valute (USD+EUR+…). La creazione e il trasferimento dei təukən sono gestiti da un deitəbeis centralizzato, ma solo i membri dell’associazione Laibrə possono accedere al deitəbeis. Entrare nell’associazione richiede un investimento di 10M$ e si può farne parte solo su invito. L’utenza dovrà passare dal Calaibrə wolit. Questo təukən è voluto da Feisbuk per obbligare i commercianti a usare in esclusiva la loro piattaforma, ma è mascherato come un tentativo di “fornire servizi bancari a 1.7Bilioni di persone”.
Il waitpeipə non fornisce molti dettagli su come verrà gestito il fondo. Davvero, non fornisce molti dettagli in generale. Quindi quello che scrivo qua è praticamente frutto della mia interpretazione (immaginazione). Di certo, Laibrə Koin non è una criptovaluta. Piuttosto è una nuova forma di valuta digitale dal valore fissato.
Tralasciando il mio disprezzo per l’uso spregiudicato di bazwəd e trucchi di makitjn e considerando il nocciolo dell’idea, penso sia molto interessante ed enorme a livelli inimmaginabili. Nessuna riserva frazionaria, un conto bancario sul tuo smætfəun, una gestione trasparente di entità affidabili e non politicizzate (perlomeno da nazioni), trasferimenti istantanei di denaro. Sulla carta, questa è la valuta dei sogni. Qual è il problema?
Cosa potrebbe succedere in pratica.
Supponiamo che la Laibrə Koin raggiunga mezzo miliardo di persone e che necessiti di 1K$ per persona. Otterremmo un fondo d’investimento da 500B$, molto più grande di quello attualmente più grande, Spider S&P 500 (286B$). Enorme e potrebbe essere ancora più grande. Ma c’è di più, il fondo non verrebbe gestito per fare profitto, ma solo per la stabilità. Praticamente una nazione virtuale, ma privata.
Poi dovrebbero accontentare le regolamentazioni di ogni nazione al mondo, come fa Paipæl, ma peggio, perché dovrebbero proporre la loro valuta e spiegare alle persone cosa posseggono con Laibrə.
E anche, devono evitare pasticci.
Per come la vedo è una banca e una nazione virtuale allo stesso tempo. C’è anche la difficoltà di gestire un’associazione enorme con membri completamente differenti, molti dei quali aziende con degli interessi in continuo cambiamento. Se tutto questo fosse possibile, sarebbe un colosso molto costoso a cui si aggiunge la concorrenza con Paipæl o Manigram, che sono simili ma gestiscono molte valute, guadagnano sui cambi e sarebbero, in confronto, più agili.
Ultimo, ma non per importanza, ci sono sicuramente delle questioni morali a creare una valuta la cui gestione non è basata su valori democratici, ma su aziende private. Non sono un esperto, ma la pancia mi dice che è sbagliato.
Cos’è Laibrə Koin
Il waitpeipə di Laibrə Koin gioca a nascondino con la semantica e confonde bene quelle poche cose che dice. Provo comunque a sintetizzarle qui.
Il punto di partenza è un ikscheinj-treided-fand (ETF) composto da un insieme di valute nazionali (USD+EUR+…), ma non ci sono dettagli sulle regole che questo fand dovrebbe seguire. Anzi, non ci sono proprio dettagli tranne un chiarimento, eventuali profitti dal fondo andranno ai membri della “Laibrə əsəusiescion”, non ai possessori di Laibrə. Il valore dell’ETF verrà ugualmente diviso in parti, o vauciə, o təukən, chiamati Laibrə Koin. Quindi un Laibrə Koin avrà un valore dipendente dall’ETF.
La parte del “Blokciein” non è veramente un blokciein, ma un deitəbeis centralizzato dove solo i membri dell’associazione Laibrə (10M$ per farne parte, ma solo su invito) possono scrivere. Tralascio vari dettagli che indorano la supposta e la fanno sembrare decentralizzata, potevano essere omessi e tutto fatto con tecnologia degli anni novanta.
Le Laibrə Koin possono essere spostate attraverso un qualunque wolit “approvavo dall’associazione”, ma solo il wolit Kalaibrə sarò integrato con Wotsæp, Feisbuk o Instagræm. Per accedere al Kalaibrə wolit bisognerà soddisfare il KYC/AML.
Il waitpeipə è pieno di strani giri di parole, gli piacerebbe diventare un pəmiscionles Blokciein entro cinque anni, ma prima vorrebbero vedere risolti alcuni problemi. Peccato che questi problemi siano l’intera specifica di una stupenda criptovaluta mai trovata. Stonk. Fanno anche notare come Bitcoin consumi energia “Non abbiamo considerato i pruf-ov-wək perché hanno basse pəfoməns e alti costi energetici e ambientali”, che è una critica ragionevole, se non fosse che l’associazione non include membri che difendono l’ambiente. Sbirch.
TL;TR Laibrə è un təukən gestito da un deitəbeis centralizzato, il cui valore dipende da un enorme ETF gestito in Svizzera e da un’associazione che ne concede l’esclusiva alle aziende di Feisbuk. Ah sì, qualche cripto-bazwəd per farsi due risate.